Photovoice racconta le adolescenti di Posadas

Intervista a Silvia Amazzoni, dopo una permanenza di 4 mesi a Posadas, a fianco degli operatori di Jardin de los Niños, mentre era  laureanda in Psicologia di comunità presso l’Università di Padova.

Che cosa ti ha portato a Posadas? Il desiderio di svolgere un’esperienza di volontariato internazionale è stato il motore di tutto; visto che il mio corso di laurea richiede di svolgere un tirocinio formativo pre-laurea, ho deciso di unire le due cose, sviluppando poi, a partire dall’esperienza a Posadas, anche il progetto per la mia tesi magistrale.

Tra le numerose attività che hai seguito durante il tuo tirocinio a Posadas, hai proposto e realizzato un progetto inedito nel contesto di San Jorge, impiegando la tecnica “photovoice”. Di che cosa si tratta? 
Photovoice  è una metodologia di investigazione ad  azione partecipativa mediante le fotografie scattate dagli stessi partecipanti, finalizzata ad aiutare le persone a identificare, rappresentare e  fortificare la loro comunità. Io ho applicato questa tecnica con un gruppo di 5 adolescenti tra gli 11 ed i 16 anni provenienti da famiglie svantaggiate della comunità di San Jorge, nell’ottica di prevenzione delle gravidanze precoci -fenomeno molto diffuso nel contesto del barrio- e promozione della salute, ponendomi dei precisi obiettivi a livello di ricerca e di intervento. A livello di ricerca, l’obiettivo è stato esplorare dal punto di vista delle ragazze la loro percezione di sé, delle loro necessità, della loro comunità e quale significato attribuiscono all’espressione “rispettare se stesse e gli altri nelle relazioni”. A livello di intervento invece, il progetto puntava ad aumentare l’autostima delle ragazze e a potenziare le loro competenze sociali per mantenere relazioni sane, stimolando ragionamenti di gruppo su quali valori sono importanti, quali relazioni sono significative e come si perseguono. Altro obiettivo importante era quello di favorire la partecipazione sociale delle ragazze e di stimolare l’elaborazione di un pensiero critico circa le tematiche comunitarie.

Come si è svolto il progetto in concreto?  Il progetto si è concretizzato in 10 incontri settimanali, con la collaborazione di Myriam Escofet, una psicologa locale. I primi incontri sono stati finalizzati a formare il gruppo di ragazze,  generare confidenza e collaborazione e imparare ad utilizzare la macchina fotografica.  Nelle settimane successive le ragazze si sono scambiate una macchina fotografica dietro l’indicazione di immortalare i loro stati d’animo di “tristezza” e “gioia”, relazionandoli a ciò che considerano bello e ciò che considerano brutto; le foto scattate sono state poi discusse con il gruppo, proponendo man mano quello che in termini tecnici viene definito un “interrogatorio induttivo”, ossia una domanda che permettesse il dialogo nel gruppo e che traslasse le questioni da un livello individuale ad uno comunitario.

Quali risultati avete ottenuto? Volevano offrire alle ragazze uno spazio in cui ciascuna si sentisse libera di esprimere il proprio pensiero e così è andata. Dopo un’iniziale periodo di diffidenza e presenze incostanti, le ragazze hanno partecipato con entusiasmo e abbiamo trattato molte questioni di grande rilievo. Le prime immagini  hanno riguardato ciò che è più vicino alle ragazze, portandoci perciò a parlare ad esempio della casa, della sicurezza che ci dà e dell’importanza di curarla in quanto spazio nostro  e familiare, per poi spostare il dialogo sugli spazi condivisi all’interno del barrio, in particolare su una zona che presenta importanti quantità di rifiuti, per la quale abbiamo ipotizzato insieme possibili soluzioni, come ad esempio ripulire le zone interessate con l’intento di crearvi poi uno spazio di aggregazione per i giovani del quartiere. L’osservazione delle foto ci ha portato ad affrontare via via altre questioni, come le gravidanze precoci, la violenza verso le donne, il disagio sociale, cercando di individuare in ogni occasione cause e possibili soluzioni.
Una parte particolarmente interessante del lavoro ha riguardato la riflessione circa l’individualità, con discussioni su come sostenere le nostre opinioni di fronte a chi non le rispetta, come reagire alle difficoltà e alle situazioni di violenza tra compagni di classe, in famiglia e nella comunità. Abbiamo stimolato le ragazze ad interrogarsi sulle loro aspettative per il futuro, incoraggiandole a progettarsi nel tempo e a prendere consapevolezza del loro prezioso valore, come ragazze e come soggetti in grado di fare delle scelte nel rispetto di se stesse, degli altri e dell’ambiente in cui vivono.

Anche la partecipazione alle questioni comunitarie è stato argomento di analisi e le ragazze ne hanno riconosciuto l’importanza: essere, nella quotidianità di ciascuna, il cambiamento che si vorrebbe vedere nella realtà che ci circonda è stata una delle strategie di azione che le ragazze stesse hanno individuato al termine del confronto. In chiusura delle attività si è deciso di allestire un’esposizione fotografica di quanto realizzato e di organizzare un evento di presentazione, allo scopo di rendere partecipe la comunità delle questioni collettive sollevate dalle ragazze e di dare loro un’occasione di confronto con adulti “significativi” (genitori, vicini e persone del barrio). Sono stati coinvolti nell’evento anche dei rappresentanti politici, nell’intento di promuovere tramite il progetto Photovoice una maggiore consapevolezza e un conseguente cambiamento sociale non solo nella comunità ma anche in coloro che decidono le politiche pubbliche.

Quali sono stati maggiori punti di forza e i punti di debolezza del progetto? Il numero di persone ristretto ed il tempo limitato sono stati dei punti di debolezza; si è trattato però di un’esperienza pilota che, alla luce dei risultati positivi ottenuti, potrebbe essere replicata coinvolgendo più persone, soprattutto coloro che si trovano ai limiti del barrio e che si considerano maggiormente a rischio. Il maggiore punto di forza è stato invece l’impiego delle fotografia come mezzo d’espressione accessibile a tutti, spontaneo ed oggettivo.

Che cosa ti ha lasciato l’esperienza fatta insieme a Jardin? L’esperienza che ho vissuto mi ha permesso di conoscere e confrontarmi con realtà e mentalità totalmente diverse dalle mie. A livello professionale ha affinato le mie competenze poiché mi sono ritrovata a condurre un gruppo e ne ho sviluppate di nuove grazie alle molteplici situazioni che mi si sono presentate. Non solo; credo allo stesso tempo di aver dato un mio personale contributo alla comunità di San Jorge, un piccolo seme che si somma a quelli di altri e che nel tempo potrà alimentare dei cambiamenti positivi.