Due storie a lieto fine dal Rwanda: Florence e Séraphine

La storia di Florence, oggi sarta, è un insieme di tenacia, volontà di migliorare e abilità, ed è una di quelle storie che fanno ben sperare per il futuro del Rwanda. Sino all’aprile del 2013, quando ha ricevuto un microcredito dopo aver frequentato un apposito corso sulla sua gestione, Florence sopravviveva lavorando nei campi altrui. Con la somma ricevuta in prestito ha iniziato un piccolo commercio di legumi: li comprava nelle campagne e li rivendeva nella città di Ruhengeri. Non solo ha potuto restituire tutta la cifra alla scadenza prevista, sei mesi dopo, ma con parte del denaro residuo ha acquistato delle sementi, in modo da poter coltivare nel suo piccolo campo carote e cavoli. E ha continuato a commerciare verdura. Ed ecco che a distanza di alcuni mesi è stata in grado di comprarsi una macchina da cucire, che le ha permesso di  avviare la sua nuova microattività.

Lavora nella sua casetta dai muri di fango, dove la incontriamo, soprattutto a cucire uniformi scolastiche. Un lavoro diventato stabile, che le guadagnare in media 30.000 franchi ruandesi ( circa 30 euro), con cui riesce a mantenere gran parte della sua famiglia di 11 persone. E trovando il tempo anche per coltivare il suo campicello per l’autoconsumo: il raccolto appena fatto è di fagioli, questa volta.

 

C’è anche spazio per l’amore e il matrimonio nella bella storia di Séraphine, 30 anni: un marito, pure lui orfano di guerra, di professione infermiere e incontrato durante gli studi sovvenzionati dalla borsa di studio ricevuta attraverso Jardin; e da due anni anche una figlia.

Séraphine oggi lavora come operatrice sociale presso un centro di salute e guadagna 150.000 franchi ruandesi (circa 166 euro) al mese. Ci accoglie felice e orgogliosa nella sua ampia casa, ancora in costruzione e dove vivono anche i suoi tre fratelli, e ci tiene a ringraziare la Fondazione Montalcini per la borsa di studio: ” Mi ha aiutato a diventare quella che sono, mi ha dato speranza e anche … un marito. Amo il mio lavoro, e riesco anche a mantenere agli studi superiori i miei fratelli.”

di Guya Mina, socia e collaboratrice volontaria di Jardin, nonché giornalista, in viaggio di missione in Rwanda.