10 centesimi

Le riflessioni sul concetto e la percezione di “normalità” scritte da una volontaria di Jardin durante un viaggio in Ruanda con breve passaggio a Goma, nel confinante Congo

10 centesimi: una monetina che scivola dalle tasche e che, soppesando lo sforzo sproporzionato rispetto al suo valore, forse nemmeno ci chiniamo a raccogliere.

10 centesimi: il valore di una vita per un neonato accolto dall’ospedale di Ruhengeri affetto da diarrea che può essere curato e salvato con una terapia che costa 75 franchi ruandesi (meno di 10 centesimi di euro).

In queste intense settimane trascorse sotto l’equatore, in terra ruandese, non c’è stato un giorno in cui non mi sia interrogata sul concetto di “normalità”.

L’accoglienza in questi luoghi, nelle centinaia di mani strette, nelle famiglie conosciute, nei sorrisi spesso imbarazzati, è sempre stata stupefacente; quasi a confermare che tutti i dolori, le tragedie, le ingiustizie vissute, ancora oggi, da questo popolo fanno parte della normalità, della quotidianità, di una aberrante abitudine. Abitudine a soffrire, a lottare silenziosamente, dignitosamente, a cercare in vari modi di scostare quella pesante coltre intessuta di sofferenza che ricopre ogni casa, ogni brandello di famiglia, ogni situazione che urla ingiustizia, dipingendovi sopra un quadro di normalità.

La normalità diventa di una spontaneità, di un candore e genuinità che quasi ti convince a contatto con i più piccoli:  miracoli viventi, emblemi di sopravvivenza in condizioni che per noi “muzungu” (uomini bianchi) sono inaccettabili.

Forse un giorno hanno vissuto quella stessa fiducia nella Vita anche quegli adulti scampati al genocidio; ognuno porta  un proprio personale drammatico fagotto di perdite familiari, di relazioni drammaticamente interrotte e di figli mai più ritrovati. Ora in quegli occhi si scorge, dietro ogni sguardo carico di dignità e di voglia di risollevarsi, una sofferenza sedimentata, gestita, elaborata ma che mai potrà essere annullata. Potrà mai diventare “normale” aver visto i propri figli, moglie, marito, vicini di casa brutalizzati, assassinati, violentati, fuggiti nei campi e mai più ritornati?

Oggi è normale per molte famiglie farsi carico di qualche orfano: i nuclei che noi definiremmo “anomali” sono costituiti da famiglie allargate dove sono stati accolti i figli dei vicini, dei parenti o di qualche sconosciuto scomparso. La media di 6-7 figli è la normalità. La famiglia di Noel, arriva a 14 figli dei quali 10 accolti. Noel non ha voluto che il lutto e il dolore per la perdita dei due figli e della moglie divenisse la “normalità” della sua vita.

Attraversando la frontiera con il Congo, un giorno che questo concetto di normalità inizia a catturarti, sei nuovamente costretto a cambiare idea. La linea di confine tra il normale e l’anormale si sposta ancora e non solo idealmente. In un paio di chilometri ti accorgi che il peggio non era al di qua della linea.

127A Goma la “normalità” è ricostruire la vita in un formicaio brulicante che si dipana confusamente sopra quella città sommersa dalla colata lavica del 2005. Qui è normale vivere dove tutto è nero, tutto è polvere che si insinua in ogni fessura di pelle, dove il traffico selvaggio si inerpica su e giù per le colline laviche, non esiste una strada asfaltata, non c’è una casa in muratura. Tutto è esploso come un puzzle mandato all’aria da lapilli e magma…anche questo è normale.
C’è una cosa però che ho percepito come non-normale in tutti i luoghi che ho conosciuto: un’attitudine, una risposta, un movimento nuovo, fuori dall’ordinario. È la voglia di riscatto, di una vita diversa, è la risposta all’offerta di una opportunità nuova: quella di migliorare, di crescere, di imparare nuovi modi di sfamare i propri figli.

Le opportunità che ho visto offerte in questi giorni, attraverso gli interventi portati avanti con il supporto della Caritas di Ruhengeri, sono tutte colte da occhi, cuori, mani che hanno voglia di vedere, sentire, agire in modo nuovo.

Imparare a coltivare un pezzetto di orto; imparare a fare la pasta in casa per avere un piccolo introito; imparare, rinchiusi in un piccolo e soffocante bugigattolo, a produrre artigianalmente calzature; educare se stessi e poi gli altri a migliorare le proprie condizioni igienico-sanitarie per prevenire la diffusione dell’AIDS, il cui tasso di crescita continua a galoppare.

Tutte queste proposte le ho viste accolte con grande speranza negli occhi, con grande sacrificio per doversi spostare dal proprio villaggio e famiglia. Ho visto donne presentarsi puntuali all’appuntamento in città per l’inizio di un corso di formazione dopo aver percorso con i propri piedi e gambe chissà quanti chilometri tra le mille colline ruandesi e poi stipate dentro pullman che a occhio nudo caricano il doppio della loro portata massima. Penso alle nostre auto mono-passeggero ed ai loro adirati guidatori perché c’è coda anche oggi in tangenziale…Ancora una volta: qual è la normalità?

UntitledMi ritorna alla mente il gesto di una donna beneficiaria del progetto di microcredito che ha appena ricevuto 15.000 franchi (circa 19 euro) per iniziare una piccola attività che potrà risollevare le sorti della sua famiglia. Estrae da sotto il suo telo-gonna una consunta banconota da 5.000 franchi (poco più di 6 euro), la tiene stretta vicino al grembo e la contempla, rigirandola quasi di nascosto tra le dita callose. Un grande tesoro che non ha mai posseduto, né solo visto in tutta la sua vita. Tra sei mesi dovrà restituire il “capitale” con l’interesse di 1 euro. Quei venti euro diventeranno un nuovo tesoro elargito a qualcun altro.

Ripensando a quella fotografia che è impressa nella lunga pellicola dei miei ricordi: sento la certezza, ancora una volta, che spostare la linea di confine è un compito individuale di ciascuno. I dieci centesimi lasciati a terra sono come quella famosa goccia nell’oceano che fa la differenza non solo tra il normale e l’anormale, ma tra luce e buio.